Di Giada Accetta e Benedetta Esposito
Giovedì 20 e venerdì 28 aprile abbiamo ospitato nella nostra scuola, il Liceo Pasquale Villari di Napoli, due eventi organizzati dal Progetto Base Camp sul tema dell’Intercultura. Durante il primo evento noi alunni e alunne delle prime classi abbiamo guardato il documentario di Maurizio Braucci dal titolo “Un milione di italiani (non sono italiani)” ed incontrato una delle protagoniste Sara Vanderwert. Nel secondo incontro, dal titolo “Ogni nome ha una storia”, abbiamo conosciuto la scrittrice e attivista Sabrina Efionayi.

L’idea che alcune vite contino di meno è la base di tutto ciò che di sbagliato c’è nel mondo: è questo il concetto da cui siamo partite. Abbiamo assistito in ambito scolastico, in prima persona, ad eventi che confermano questa teoria. Un milione di persone nate in Italia, ma da genitori di origini diverse, si sentono italiani ma per lo stato sono considerati cittadini extracomunitari. Arriva un momento della vita in cui prendi coscienza che il mondo sotto certi aspetti non è un bel posto e che il comportamento altrui può raggiungere livelli infiniti! Ma la vittoria di ciascuno di noi è una: non essere come loro. Delle ragazze della cooperativa sociale Dedalus ci hanno fatto visita a scuola per raccontarci della loro esperienza riguardo ius sanguinuis (per ius sanguinuis s’intende letteralmente diritto di sangue per cui se hai origini diverse ma nasci in Italia sei identificato come straniero) e su come hanno fatto ad ottenere la cittadinanza italiana. Attraverso il cortometraggio che ci è stato presentato abbiamo capito che il percorso per la cittadinanza è molto lungo e travagliato. Noi siamo solo delle adolescenti ma avremmo piacere ad esprimere la nostra opinione a riguardo. Partiamo dal presupposto che siamo tutti uguali e che la cittadinanza dovrebbe essere un diritto di tutti a prescindere dalle origini. Da anni abbiamo messo in prima fila gente che non meritava di stare neanche in fondo alla platea, mettendo da parte invece chi qualcosa di sensato da dire in realtà lo aveva. Siamo figli di una società che cammina bendata e che si ostina a creare disuguaglianze tra la popolazione. Queste ragazze vanno prese come esempio perché molte come loro lottano per togliere questa maledetta benda dagli occhi.
Essere consapevoli di ciò che si prova dentro di sé, senza sentirsi sbagliati è il passo fondamentale per essere padroni di se stessi. Lo stesso concetto è alla base del libro della scrittrice Sabrina Efionayi ed è quello che cerca di farci capire attraverso la sua storia raccontata nel suo libro intitolato “Addio, a domani” e nel suo podcast “Storia del mio nome”.

Sabrina è una ragazza napoletana afrodiscendente che un bel giorno decide di fare i conti con il tempo e di ripercorrere man mano la sua storia: è figlia di una donna vittima della tratta e dello sfruttamento della prostituzione che è stata portata in Italia attraverso un inganno e la promessa di un futuro migliore. Con il passare del tempo nacque proprio la nostra scrittrice, figlia biologica di Gladys ma che venne affidata ad Antonietta. Cresce a Castel Volturno con la presenza di due mamme a cui vuole un gran bene, ricoperta da storie le quali protagoniste erano solo persone bianche, e lei sentendosi in dovere di cambiare la situazione decide di iniziare da piccoli manoscritti per poi diventare successivamente conosciuta per aver pubblicato un libro. Crescendo la sua identità si trova in bilico: italiana o nigeriana? Allora decide di interrompere per un po’ i rapporti con Gladys per riuscire a ritrovare se stessa.
E’ infatti nella solitudine che capiamo cosa è giusto fare e cosa vale la pena tenere e cosa lasciare andare. Noi prendiamo Sabrina come un esempio di vita, forza e coraggio perché non tutti sarebbero capaci di mettere a nudo la verità. Sabrina Efionayi ci ricorda che spesso qualsiasi cosa facciamo nella vita per gli altri non sarà mai abbastanza e che quindi bisogna essere e credere in se stessi, proprio come ha fatto lei.


















